Rózsa Péter. La matematica che giocava con l’infinito

«Amo la matematica non solo per le sue applicazioni tecniche, ma soprattutto perché è bella»: così scrive Rózsa Politzer Péter, matematica ungherese, fondatrice della teoria computazionale, nella prefazione al suo libro Giocando con l’infinito. Matematica per tutti, iniziato a scrivere nel 1943, ma diffuso a livello mondiale nel 1957. E questa dovrebbe essere la prima frase pronunciata da ogni insegnante di matematica all’inizio dell’anno, in particolare nei licei umanistici o artistici in cui si iscrivono tante ragazze che dicono di averli scelti perché “non sono brave in matematica” e quindi affrontano la materia con diffidenza e di malavoglia, considerandola agli antipodi rispetto alla letteratura, all’arte e alla creatività in generale. Sempre nella prefazione del 1957 si legge: «Sono portata a credere che una delle origini della matematica sia la natura giocosa umana, e per questa ragione la matematica non è solo una scienza, ma almeno allo stesso grado, anche un’arte», aggiungendo: «Questo libro è scritto per coloro che hanno interessi intellettuali ma non sono matematici; è scritto per letterati, artisti, cultori di scienze umanistiche».

Corrado Mangione, uno dei padri della logica italiana del secondo Novecento, nella nota che apriva la prima edizione italiana per i tipi di Feltrinelli nel 1973, afferma: «Il discorso, specie all’inizio, sembra, più che elementare, quasi pedante e infantile; però presto si avverte una profonda conoscenza dietro di esso e una rara maestria nel raccordare fra loro concetti di diverso grado di difficoltà e di rilievo del tutto differente; e si resta via via stupiti dalla varietà degli argomenti che vengono toccati». E proprio Rózsa Péter, donna e importante matematica, potrebbe diventare un esempio per tante ragazze che subiscono da millenni il pregiudizio dell’inadeguatezza della mente femminile alle scienze “dure”, purtroppo ripreso dal famoso matematico Piergiorgio Odifreddi in più occasioni negli ultimi anni, ma in modo più discutibile e sbilanciato nell’articolo del 16 ottobre 2016 sul quotidiano “La Repubblica”, dove si permette di conclamare: «Una progressione discendente, che sembra indicare come l’attitudine femminile sia direttamente proporzionale alla concretezza e indirettamente proporzionale all’astrazione». Uscite di questo tipo hanno però dato la possibilità a tante scienziate di controbattere e affermare che «la scarsa presenza femminile nella ricerca scientifica non è dovuta alla mancanza di doti innate ma è fortemente condizionata da convenzioni sociali dure a morire».

Rózsa Politzer nacque a Budapest il 17 febbraio 1905, ma nel 1930 cambiò il suo cognome in Péter per dargli un’assonanza meno tedesca, come era comune in quegli anni in Ungheria. Inizialmente, dopo la laurea in matematica conseguita nel 1927, fu insegnante liceale e, successivamente, dopo il dottorato conseguito nel 1935, docente all’Università Loránd Eötvös sino a pochi anni prima della morte, avvenuta nel 1977.
Durante il periodo nazista, sotto il regime di Myklós Horthy, le fu interdetto l’insegnamento per le sue origini ebraiche, ma, seppur confinata nel ghetto di Budapest, continuò a lavorare durante gli anni della guerra e per tutta la sua vita si spese per far apprezzare la matematica agevolandone la comprensione sin dalla più tenera età, e per fornire maggiori opportunità alle donne nel mondo delle scienze.

Nel 1951 riesce a pubblicare la sua opera principale: Rekursive Funktionen, che le valse il Premio Kossuth. Tradotto in inglese soltanto nel 1967, come Recursive Functions, vide oscurati i suoi meriti dai libri più diffusi e famosi del matematico statunitense Stephen Cole Kleene, che però nel 1952 la definì come «la principale artefice della teoria speciale delle funzioni ricorsive». Il suo ultimo testo sull’argomento sarà Recursive Functions in Computer Theory, del 1976, ma già nel 1932 aveva presentato un articolo sulle funzioni ricorsive al Congresso Internazionale dei Matematici a Zurigo, dove proponeva per la prima volta che tali funzioni venissero studiate come un sottocampo separato della matematica.

Convinzione di Rózsa Péter è che la scienza, e soprattutto la matematica, debba entrare in ciò che possiamo definire “area culturale”, senza essere considerata appannaggio di esperti visti come maghi, quasi non umani, ma venga vista come un frutto del lavoro umano, connessa e radicata con la realtà e i problemi di tutti i giorni. Infatti nello spiegare operazioni, concetti o àmbiti anche molto complessi della disciplina, utilizza esempi e paragoni tratti dalla vita quotidiana. Moltissimi si trovano nei suoi scritti, come questo, nel momento in cui si accinge a spiegare le grandezze con direzioni arbitrarie, i cosiddetti “vettori”: «Ogni rematore sa che se vorrà attraversare il fiume, non raggiungerà l’altra riva nel punto esattamente opposto al punto di partenza, ma più a valle, poiché non sarà spinto solo dai propri muscoli, ma anche dalla corrente. […] Una storia racconta di otto cavalli usati per tirare un carro molto pesante, e il carro non si muoveva per niente, finché qualcuno non notò che quattro cavalli stavano tirando in una direzione, e quattro nell’altra». Oppure: «Alle figure nello spazio corrisponderanno equazioni con tre incognite. Potremmo indicarle con x, y, z. Se consideriamo un’equazione, come z = 3x + 2y, vediamo immediatamente che il valore di z dipende da x e da y. Z rappresenta un esempio delle cosiddette funzioni di due variabili: incontriamo spesso funzioni di questo tipo nella vita di tutti i giorni; per esempio il premio di un’assicurazione sulla vita dipende tanto dal tempo in cui la polizza ha valore come dal capitale depositato. Qualunque cosa dimostriamo relativamente a figure nello spazio tridimensionale, sarà esprimibile in termini di funzioni di due variabili». Lo scopo è sottrarre ciò che appare impossibile per la mente umana alla frustrazione di non poterlo neanche immaginare o avvicinare; afferma: «l’infinito in matematica si può comprendere mediante strumenti finiti». Ricorda tanto la leggendaria frase di Archimede: «datemi una leva e solleverò il mondo».

«Nessun altro campo può offrire a tal punto come la matematica la gioia della scoperta, che è forse la più grande gioia umana», ripeteva Rózsa Péter nelle sue conferenze, che erano spesso intitolate “La matematica è bella”. Poteva sembrare un’effusione ingenua, ma detto da lei si capiva che era una conquista di saggezza e della consapevolezza del carattere umano e non “divino” della matematica, così come quando afferma (ed è ricordato da Giulio Giorello nella postfazione a Giocando con l’infinito): «L’eterna lezione è che la matematica non è qualcosa di statico e chiuso, ma è viva, in continuo sviluppo».

Qui le traduzioni in francese, inglese e ungherese.

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Articolo di Danila Baldo

Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, coordina il gruppo diade e tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa Femminista Europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane sino al settembre 2020.

 

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